Conoscere la mente con la fisica quantistica - Intervista a Michel Bitbol

Published: 11 December 2020
on channel: Psicologia - Luca Mazzucchelli
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La conoscenza della mente tramite la fisica quantistica è il tema trattato durante l'intervista a Michel Bitbol in occasione del simposio "Conoscere l'uomo".

Michel Bitbol è Filosofo della Scienza, Fisico quantistico e Direttore di Ricerca al CNRS di Parigi. Con lui abbiamo parlato dei diversi significati che vengono attribuiti alla conoscenza e dell'importanza per l'uomo di possedere due tipi di conoscenza opposti:
1. la conoscenza scientifica
2. la conoscenza oceanica o partecipativa.

Alla fine del video, qualche curiosità sull'incontro di Michel Bitbol con il Dalai Lama.

Ecco il minutaggio dell'intervista con i principali argomenti trattati:
0:00 introduzione
0:20 chi è Michel Bitbol e di cosa si occupa
0:28 dove nasce l'interesse di Bitbol verso il tema della conoscenza della mente
1:28 i due differenti significati della conoscenza
2:50 il significato di conoscenza secondo la filosofia indiana
4:08 perché dobbiamo possedere entrambe le modalità di conoscenza
4:58 fino a che punto è possibile conoscere se stessi
6:52 cosa, la fisica quantistica, può insegnarci sui limiti della conoscenza
7:45 come funziona il metodo di interrogazione microfenomenologica e perché è utile
10:36 l'incontro di Bitbol, in quanto Fisico quantistico, con il Dalai Lama

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#conoscenza #mente #psicologia

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LM: “Cari amici, buongiorno a tutti. Oggi siamo qui con Michel Bitbol. Parleremo della conoscenza della mente tramite la fisica quantistica. Michel: dove nasce il tuo interesse verso il tema della conoscenza?”

MB: “la conoscenza è un problema perché non si tratta soltanto di sapere qualcosa dell'oggetto di conoscenza, ma anche di che cosa vuol dire conoscere.

Ci sono due significati della parola conoscenza. Il primo significato riguarda il fatto che prima si definisce un oggetto e poi si collega questo oggetto con altri oggetti, attraverso leggi di regolarità, di comportamento di ogni oggetto relativamente ad altri oggetti. Estrarre le leggi generali di questi comportamenti regolari è ciò che fa la scienza. Poi c'è un altro senso di conoscere: il senso di aderire, di essere "parte di", di essere immersi in quello che vogliamo conoscere. Io la chiamo conoscenza oceanica. È la conoscenza partecipativa, la conoscenza, come dicono gli inglesi, acquaintance, con l'intimità. Questi due tipi di conoscenza sono molto diversi, tanto che a volte sembrano opposti.”

LM: “Ma sono, in realtà, complementari?”

MB: “esatto. Sono due atteggiamenti e due modi di conoscere indispensabili. Dobbiamo averli tutti e due. La conoscenza scientifica ci permette di orientarci, di manipolare le cose per ottenere qualcosa che vale per noi. La tecnica ha proprio l’obiettivo di ottenere dei comportamenti utili delle cose che ci servono.
Invece l'altra ci serve a essere familiari, a familiarizzarci con la realtà di cui partecipiamo.”

LM: “senti, secondo te, noi possiamo effettivamente conoscere noi stessi?”

MB: “è un po' difficile questa domanda perché ci conosciamo in due modi. Prima ci studiamo: noi stessi studiamo la nostra condizione, studiamo la nostra fisiologia per esempio attraverso la neurofisiologia, dunque studiamo noi stessi come oggetti, per noi stessi. Ma abbiamo anche un rapporto molto particolare, l'altro rapporto, cioè il fatto che siamo noi stessi; dunque che coincidiamo con noi stessi. Potremmo chiederci: ma questo è un rapporto più intimo, dunque più diretto e dunque questa è una vera conoscenza? Ma sai, quando noi siamo immersi nella cosa che vogliamo conoscere non è molto facile, perché siamo quasi onnubilati da quello che vogliamo conoscere. C'è qualcosa che ci scappa, c'è un punto cieco nella nostra conoscenza di noi stessi. E forse quello è il punto cieco che, diciamo, la tradizione per esempio freudiana ha chiamato inconscio. Per quello che la conoscenza di noi stessi non può essere completa.”

LM: “La fisica quantistica può insegnarci qualcosa sulla conoscenza?”

MB: “sì. Ci insegna qualcosa sui limiti della conoscenza. Ci fa vedere che noi dobbiamo agire nel mondo per conoscere, e la nostra azione nel mondo influenza quel mondo. La nostra conoscenza non può essere indipendente dal fatto che noi facciamo qualcosa per conoscere.”

LM: “tu mi dicevi che collabori con alcuni psicologi e psichiatri e che si crea un mix molto particolare tra le tue competenze e quelle più di tipo psicoterapeutico. Puoi dirmi qualcosa?”

MB: “è una collaborazione basata su un metodo definito -di interrogazione microfenomenologica-. Consiste nell'intervistare persone su un'esperienza vissuta molto breve, di 1-2 secondi. Può essere un trauma, una cosa più neutra, o una bella esperienza vissuta. Ti faccio un'ora di intervista su quel momento di due secondi. E si rivelano dei dettagli della tua esperienza veramente stupendi, che anche tu non conoscevi. Per quello che la conoscenza di se stessi non può essere completa.”


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